CBT – La Teoria cognitivo-comportamentale

Cognitivismo, Comportamentismo e Psicoanalisi

Scontro e sintesi fra psico-teorie

Che cos'è la CBT ?

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è una terapia specifica che si concentra sui disturbi d’ansia, alimentari, dell’umore e di personalità, lavorando sugli aspetti cognitivi e comportamentali dell’individuo.

Si identificano le credenze disfunzionali e gli schemi che mantengono il problema, e si lavora sui comportamenti di evitamento e ricerca di rassicurazione.

La CBT permette di individuare i target di obiettivi su cui lavorare in modo sistematico a livello cognitivo e comportamentale.

IN SINTESI SCHEMATICA:

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è dunque una terapia specifica che si concentra su disturbi come l’ansia, i disturbi dell’alimentazione, dell’umore e di personalità.

– Nasce negli anni ’60 e ha dimostrato l’efficacia scientifico-terapeutica.

– Lavora sugli aspetti cognitivi e comportamentali, identificando credenze disfunzionali e schemi di pensiero.

– Include anche una componente comportamentale e tiene conto degli aspetti relazionali e affettivi.

La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) lavora sulle credenze disfunzionali e i comportamenti che mantengono il disturbo, individuando gli obiettivi da affrontare settimanalmente in modo sistematico.

– La CBT lavora sulle aree di funzionamento di ogni individuo.

– Identifica le credenze disfunzionali e gli schemi riguardanti il disturbo di panico.

– Individua i comportamenti che mantengono il disturbo, come le condotte di evitamento e la ricerca di rassicurazione.

– Schematizza la modalità di funzionamento del disturbo per identificare i target degli obiettivi da affrontare settimanalmente.

Perché si è formata una teoria cognitivo-comportamentale se precedentemente ci fu conflitto fra cognitivismo e comportamentismo?

La teoria cognitivo-comportamentale (CBT, dall’inglese Cognitive Behavioral Therapy), come precedentemente detto, è un approccio psicoterapeutico che si è sviluppato principalmente come risultato dell’integrazione di principi comportamentali e cognitivi. La formazione di questa teoria integrata può essere vista come una risposta alle limitazioni sia del comportamentismo che del cognitivismo quando presi singolarmente.

Il comportamentismo, sviluppatosi nei primi del Novecento con figure come John B. Watson e B.F. Skinner, si concentrava sull’osservazione e modifica dei comportamenti osservabili, ignorando i processi mentali interni considerati troppo astratti e non misurabili oggettivamente.

Il cognitivismo, emerso in risposta alle limitazioni del comportamentismo, si focalizzava sui processi mentali come il pensiero, la memoria e la risoluzione dei problemi.

Si può dire che entrambe le discipline hanno un’impostazione di tipo naturalistico, nel comune intento di assimilare lo studio della mente umana alle scienze naturali. 

Il conflitto tra queste due scuole di pensiero nasceva però dal loro diverso approccio allo studio della mente umana: i comportamentisti sostenevano che la psicologia dovesse essere una scienza oggettiva e si dovesse concentrare solo su ciò che è osservabile, mentre i cognitivisti ritenevano essenziale esplorare i processi mentali interni per comprendere appieno il comportamento umano.

La teoria cognitivo-comportamentale si è formata come una sintesi di questi due approcci grazie al lavoro di psicologi come Albert Ellis e Aaron T. Beck negli anni ’50 e ’60.

Essi riconobbero che i processi cognitivi (come i pensieri, le aspettative e le credenze) possono influenzare il comportamento e che modificando questi processi cognitivi è possibile ottenere un cambiamento comportamentale. Di conseguenza, la CBT si basa sull’idea che i pensieri, i sentimenti e i comportamenti sono interconnessi e che cambiando il modo in cui una persona pensa e si comporta, è possibile influenzare il suo stato emotivo e migliorare il suo benessere psicologico.

La CBT è diventata uno degli approcci più studiati e utilizzati nella psicoterapia moderna per il trattamento di una vasta gamma di disturbi psicologici, dimostrando efficacia in molte ricerche cliniche.

Psicoanalisi e comportamentismo: lo scontro psicologico primordiale

Il comportamentismo e la psicoanalisi freudiana rappresentano due scuole di pensiero molto diverse nella storia della psicologia, con fondamenti teorici e metodi di trattamento che differiscono significativamente.

La psicoanalisi, sviluppata da Sigmund Freud alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, si concentra sull’importanza dell’inconscio, dei conflitti interni, dei desideri repressi e delle esperienze infantili nel modellare il comportamento e la personalità di un individuo. Freud credeva che l’analisi dei sogni, l’associazione libera e l’esplorazione della trasferenza (Transfert) nella relazione terapeutica potessero aiutare a sbloccare e risolvere i conflitti psichici inconsci.

D’altra parte, i comportamentisti, come John B. Watson e B.F. Skinner, rigettavano i concetti di inconscio e di introspezione. Essi sostenevano che la psicologia dovesse essere una scienza oggettiva incentrata esclusivamente sullo studio del comportamento osservabile e sulla relazione tra stimoli ambientali e risposte comportamentali. Il comportamentismo si basava sulla premessa che tutti i comportamenti sono acquisiti attraverso l’interazione con l’ambiente e possono essere modificati attraverso processi di condizionamento.

La relazione tra comportamentisti e psicoanalisti fu quindi incentrata sul contrasto e il disaccordo:

  1. Fondamenti Teorici: I comportamentisti respingevano le teorie freudiane sull’inconscio come non scientifiche e non verificabili. Per loro, solo ciò che era osservabile e misurabile meritava di essere studiato.
  2. Metodologia: La psicoanalisi utilizza metodi qualitativi e interpretativi, mentre il comportamentismo si affida a metodi quantitativi e sperimentali.
  3. Trattamento: Mentre la psicoanalisi cerca di portare alla luce e lavorare sui conflitti inconsci per risolvere i problemi psicologici, il comportamentismo si concentra sulla modifica dei comportamenti disadattivi attraverso tecniche come il condizionamento.

Nonostante queste differenze, entrambe le scuole hanno contribuito in modo significativo allo sviluppo della psicologia clinica. Nel tempo, la psicologia ha cercato di integrare vari aspetti di entrambi gli approcci, portando a forme più olistiche di terapia, le quali considerano sia i processi cognitivi interni sia il comportamento osservabile esterno.

In che modo influì la rivoluzione cognitivista sulle teorie di Freud e di Jung?

La rivoluzione cognitivista ha avuto un impatto significativo sulle teorie psicoanalitiche di Freud e di Jung, portando a un ripensamento e a una rielaborazione di molti dei loro concetti alla luce delle nuove comprensioni sui processi cognitivi.

Ecco alcuni modi in cui l’approccio cognitivista ha rivoluzionato la psicoanalisi:

  1. Rivalutazione dei processi inconsci: La psicoanalisi pone grande enfasi sull’inconscio. Freud ha introdotto l’idea che una grande parte della vita mentale avviene al di fuori della consapevolezza conscia. Anche se la rivoluzione cognitiva non ha accettato molte delle ipotesi specifiche della psicoanalisi, ha riconosciuto il ruolo dei processi mentali automatici e non consapevoli, che sono oggetto di studio nella psicologia cognitiva.
  2. Interpretazione dei sogni: Freud considerava i sogni come la “strada regia” per l’inconscio, ricca di simbolismi e significati nascosti. Con la rivoluzione cognitiva, l’interpretazione dei sogni ha ricevuto un’attenzione meno centrale. I ricercatori cognitivi tendono a vedere i sogni più come una funzione della memoria e dell’elaborazione delle informazioni piuttosto che come messaggi simbolici dall’inconscio.
  3. Simbolismo e archetipi: La psicologia analitica di Jung ha introdotto i concetti di archetipi e inconscio collettivo. La rivoluzione cognitiva non ha dato molto credito all’idea di un inconscio collettivo universale, ma ha esplorato il modo in cui schemi e strutture cognitive possono influenzare la percezione e il pensiero, che possono avere qualche somiglianza con gli archetipi junghiani.
  4. Terapia: La psicologia cognitiva ha influenzato lo sviluppo di terapie che si concentrano sul cambiamento dei modelli di pensiero disfunzionali, come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT). Questo è in contrasto con l’approccio psicoanalitico, che si concentra più sull’esplorazione del significato inconscio e sulla rielaborazione delle esperienze passate.
  5. Metodologia: La rivoluzione cognitiva ha promosso metodi di ricerca empirici e sperimentali, spesso in contrasto con i metodi interpretativi e qualitativi della psicoanalisi. Questo ha portato a una maggiore enfasi su approcci basati sull’evidenza nella pratica clinica.

In sintesi, mentre la psicoanalisi si concentrava sulle dinamiche interne, spesso di natura inconscia, la rivoluzione cognitivista ha spostato l’attenzione sui processi mentali consci e sui meccanismi attraverso i quali le persone percepiscono, pensano, ricordano e apprendono. Questo ha portato a un declino dell’influenza della psicoanalisi nell’ambito accademico, anche se molte delle sue idee rimangono influenti nella pratica clinica e nella cultura popolare.

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